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Il Volto della Rabbia
Blake Pierce


Un Thriller di Zoe Prime #5
“UN CAPOLAVORO DEL THRILLER E DEL MISTERO. Blake Pierce ha svolto un lavoro magnifico nella caratterizzazione di personaggi così accuratamente descritti da un punto di vista psicologico che possiamo calarci nelle loro menti, seguire le loro paure e gioire dei loro successi. Ricco di colpi di scena, questo libro vi terrà svegli fino all’ultima pagina.” . –Books and Movie Reviews, Roberto Mattos (re Il Killer della Rosa). IL VOLTO DELLA RABBIA è il volume #5 di una nuova collana di romanzi thriller incentrati sull’FBI ad opera dell’autore bestseller secondo USA Today Blake Pierce, il cui bestseller #1 Il Killer della Rosa (Volume #1) (download gratuito) ha ricevuto oltre 1,000 recensioni a cinque stelle… L’Agente Speciale dell’FBI Zoe Prime soffre di una rara condizione che le dona anche un talento unico: quello di vedere il mondo attraverso una lente di numeri. I numeri la tormentano, rendendola incapace di relazionarsi agli altri e facendole avere una vita sentimentale deludente, ma le permettono anche di vedere schemi che nessun altro agente dell’FBI è in grado di vedere… Ne IL VOLTO DELLA RABBIA, diverse donne vengono ritrovate morte, vittime di un serial killer che incide un misterioso simbolo sui loro cadaveri. Il simbolo ha un qualche significato matematico, e Zoe cerca di scoprire se sta uccidendo nell’ordine del Pi-greco… Ma quando la sua teoria si sgretola, Zoe deve ripensare ad ogni sua convinzione… Il talento di Zoe ha forse trovato pane per i suoi denti? E lei sarà in grado di fare in tempo a salvare la prossima vittima?. Thriller ricco di azione dalla suspense al cardiopalma, IL VOLTO DELLA RABBIA è il volume #5 di un’avvincente nuova collana che vi terrà incollati alle pagine fino a notte fonda..





Blake Pierce

IL VOLTO DELLA RABBIA




IL VOLTO




DELLA




RABBIA




(Un Thriller di Zoe Prime—Volume 5)




B L A K EВ В  P I E R C E




TRADUZIONE ITALIANA A CURA DI


ANTONIO CURATOLO



Blake Pierce

Blake Pierce è l’autore statunitense oggi campione d’incassi della serie thriller RILEY PAGE, che include diciassette. Blake Pierce è anche l’autore della serie mistery MACKENZIE WHITE che comprende quattordici libri; della serie mistery AVERY BLACK che comprende sei libri;  della serie mistery KERI LOCKE che comprende cinque libri; della serie mistery GLI INIZI DI RILEY PAIGE che comprende cinque libri; della serie mistery KATE WISE che comprende sette libri; dell’emozionante mistery psicologico CHLOE FINE che comprende sei libri; dell’emozionante serie thriller psicologico JESSIE HUNT che comprende sette libri (e altri in arrivo); della seria thriller psicologico RAGAZZA ALLA PARI, che comprende tre libri (e altri in arrivo); della serie mistery ZOE PRIME, che comprende tre libri (e altri in arrivo); della nuova seria thriller ADELE SHARP e della nuova serio di gialli VIAGGIO IN EUROPA.



Un avido lettore e da sempre amante dei generi mistery e thriller, Blake ama avere vostre notizie, quindi sentitevi liberi di visitare il suo sito www.blakepierceauthor.com (http://www.blakepierceauthor.com/) per saperne di piГ№ e restare informati.








Copyright © 2020 di Blake Pierce. Tutti i diritti riservati. A eccezione di quanto consentito dall’U.S. Copyright Act del 1976, nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, distribuitao trasmessa in alcuna forma o in alcun modo, o archiviata in un database o in un sistema di raccolta, senza previa autorizzazione dell’autore. Questo ebook è concesso in licenza esclusivamente ad uso ludico personale. Questo ebook non può essere rivenduto né ceduto ad altre persone. Se desidera condividere questo libro con un'altra persona, la preghiamo di acquistare una copia aggiuntiva per ogni beneficiario. Se sta leggendo questo libro e non l’ha acquistato, o non è stato acquistato esclusivamente per il suo personale uso, la preghiamo di restituirlo e di acquistare la sua copia personale. La ringraziamo per il suo rispetto verso il duro lavoro svolto da questo autore. Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, imprese, organizzazioni, luoghi, eventi e incidenti sono il prodotto della fantasia dell’autore o sono usati romanzescamente. Qualsiasi somiglianza con persone reali, vive o morte, è del tutto casuale. Immagine di copertina Copyright Fernando Batista, utilizzata sotto licenza da Shutterstock.com.



LIBRI DI BLAKE PIERCE




UN GIALLO INTIMO E LEGGERO DELLA SERIE VIAGGIO IN EUROPA

DELITTO (E BAKLAVA) (Libro #1)


LA SERIE THRILLER DI ADELE SHARP

NON RESTA CHE MORIRE (Libro #1)

NON RESTA CHE SCAPPARE (Libro #2)

NON RESTA CHE NASCONDERSI (Libro #3)

NON RESTA CHE UCCIDERE (Libro #4)


THRILLER DI ZOE PRIME

IL VOLTO DELLA MORTE (Libro #1)

IL VOLTO DELL’OMICIDIO (Libro #2)

IL VOLTO DELLA PAURA (Libro #3)

IL VOLTO DELLA FOLLIA (Libro #4)

IL VOLTO DELLA RABBIA (Libro #5)


LA RAGAZZA ALLA PARI

QUASI SCOMPARSA (Libro #1)

QUASI PERDUTA (Libro #2)

QUASI MORTA (Libro #3)


I THRILLER PSICOLOGICI DI JESSIE HUNT

LA MOGLIE PERFETTA (Libro #1)

IL QUARTIERE PERFETTO (Libro #2)

LA CASA PERFETTA (Libro #3)

IL SORRISO PERFETTO (Libro #4)

LA BUGIA PERFETTA (Libro #5)

IL LOOK PERFETTO (Libro #6)

LA TRESCA PERFETTA (Libro #7)

L’ALIBI PERFETTO (Libro #8)

LA VICINA PERFETTA (Libro #9)

IL TRAVESTIMENTO PERFETTO (Libro #10)


I GIALLI PSICOLOGICI DI CHLOE FINE

LA PORTA ACCANTO (Libro #1)

LA BUGIA DI UN VICINO (Libro #2)

VICOLO CIECO (Libro #3)

UN VICINO SILENZIOSO (Libro #4)

RITORNA A CASA (Libro #5)

FINESTRE OSCURATE (Libro #6)


I GIALLI DI KATE WISE

SE LEI SAPESSE (Libro #1)

SE LEI VEDESSE (Libro #2)

SE LEI SCAPPASSE (Libro #3)

SE LEI SI NASCONDESSE (Libro #4)

SE FOSSE FUGGITA (Libro #5)

SE LEI TEMESSE (Libro #6)

SE LEI UDISSE (Libro #7)


GLI INIZI DI RILEY PAIGE

LA PRIMA CACCIA (Libro #1)

IL KILLER PAGLIACCIO (Libro #2)

ADESCAMENTO (Libro #3)

CATTURA (Libro #4)

PERSECUZIONE (Libro #5)

FOLGORAZIONE (Libro #6)


I MISTERI DI RILEY PAIGE

IL KILLER DELLA ROSA (Libro #1)

IL SUSSURRATORE DELLE CATENE (Libro #2)

OSCURITA’ PERVERSA (Libro #3)

IL KILLER DELL’OROLOGIO (Libro #4)

KILLER PER CASO (Libro #5)

CORSA CONTRO LA FOLLIA (Libro #6)

MORTE AL COLLEGE (Libro #7)

UN CASO IRRISOLTO (Libro #8)

UN KILLER TRA I SOLDATI (Libro #9)

IN CERCA DI VENDETTA (Libro #10)

LA CLESSIDRA DEL KILLER (Libro #11)

MORTE SUI BINARI (Libro #12)

MARITI NEL MIRINO (Libro #13)

IL RISVEGLIO DEL KILLER (Libro #14)

IL TESTIMONE SILENZIOSO (Libro #15)

OMICIDI CASUALI (Libro #16)

IL KILLER DI HALLOWEEN (Libro #17)


UN RACCONTO BREVE DI RILEY PAIGE


UNA LEZIONE TORMENTATA




I MISTERI DI MACKENZIE WHITE

PRIMA CHE UCCIDA (Libro #1)

UNA NUOVA CHANCE (Libro #2)

PRIMA CHE BRAMI (Libro #3)

PRIMA CHE PRENDA (Libro #4)

PRIMA CHE ABBIA BISOGNO (Libro #5)

PRIMA CHE SENTA (Libro #6)

PRIMA CHE COMMETTA PECCATO (Libro #7)

PRIMA CHE DIA LA CACCIA (Libro #8)

PRIMA CHE AFFERRI LA PREDA (Libro #9)

PRIMA CHE ANELI (Libro #10)

PRIMA CHE FUGGA (Libro #11)

PRIMA CHE INVIDI (Libro #12)

PRIMA CHE INSEGUA (Libro #13)

PRIMA CHE FACCIA DEL MALE (Libro #14)


I MISTERI DI AVERY BLACK

UNA RAGIONE PER UCCIDERE (Libro #1)

UNA RAGIONE PER SCAPPARE (Libro #2)

UNA RAGIONE PER NASCONDERSI (Libro #3)

UNA RAGIONE PER TEMERE (Libro #4)

UNA RAGIONE PER SALVARSI (Libro #5)

UNA RAGIONE PER MORIRE (Libro #6)


I MISTERI DI KERI LOCKE

TRACCE DI MORTE (Libro #1)

TRACCE DI OMICIDIO (Libro #2)

TRACCE DI PECCATO (Libro #3)

TRACCE DI CRIMINE (Libro #4)

TRACCE DI SPERANZA (Libro #5)




CAPITOLO UNO


Zoe chiuse gli occhi, appoggiandosi allo schienale del divano. Niente aveva importanza. L’oscurità era scesa su Bethesda e lei non si era neanche presa il disturbo di alzarsi per accendere la luce. In lontananza, i puntini gialli nello skyline le dicevano che Washington era ancora sveglia, ma lei era stanca di fissarli.

Quello non era più il suo mondo. Quando lo guardava, riusciva soltanto a vedere i numeri: i piani di ogni edificio e la quantità di finestre, la distanza da terra, il tempo che avrebbe impiegato un oggetto in caduta per colpire il marciapiede da una determinata altezza. Il numero di edifici, le divisioni delle strade e gli angoli d’intersezione tra di loro: le girava tutto in testa, al punto che ormai non voleva altro che seppellirsi nell’oscurità e spegnere qualsiasi cosa una volta per tutte.

Ma poi, a occhi chiusi, altri sensi presero il sopravvento. I secondi che ticchettavano dal suo orologio, che aveva tolto da giorni e gettato da qualche parte nella stanza per evitare di continuare a sentirlo. Era stato inutile: riusciva ancora a contare il tempo che passava. Persino le bollicine che scoppiettavano nella bottiglia di birra iniziarono ad assumere un proprio schema, e lei si ritrovГІ intenta a calcolare il tempo tra gli scoppiettii, il volume di liquido rimanente e la velocitГ  alla quale si muovevano le bollicine, vagamente visibili nella penombra della stanza.

Zoe bevve un altro sorso, pensando che almeno questo sarebbe servito a due cose: uno, far sparire quelle bollicine scoppiettanti che la tormentavano così da vicino, e due, intontire i suoi sensi. E magari la prossima birra non avrebbe fatto così tanto rumore.

Uno dei suoi gatti, Eulero a giudicare dal particolare rumore dei suoi artigli che affondavano delicatamente nel tessuto, si sistemò con noncuranza lungo lo schienale del divano e si allungò dietro di lei, appoggiando quasi silenziosamente il mantello caldo contro i suoi capelli corti. Quasi silenziosamente. In realtà, faceva rumore eccome. C’era un battito cardiaco, il suo respiro aveva un ritmo. Quei rumori erano lì, e Zoe sapeva che, avendo messo a tacere tutto il resto, ben presto avrebbe iniziato a contarli.

Si spostò leggermente, allungando una mano per prendere il cellulare, che giaceva spento sul bracciolo del divano. Non lo accendeva da giorni. All’inizio, quando era appena rientrata dal caso che era terminato con la sua sospensione, l’aveva lasciato acceso. Erano arrivati messaggi, notifiche, avvisi; il dispositivo continuava a suonare, a vibrare e a irritarla a morte, e a un certo punto aveva deciso di spegnerlo. Poi aveva iniziato ad accenderlo una volta al giorno per leggere i messaggi prima di spegnerlo di nuovo. Ora non voleva fare più neanche quello. Era troppo.

E comunque, Zoe non si aspettava nulla di nuovo. Aveva allontanato tutti, li aveva messi a tacere proprio come qualsiasi altro rumore, e col passare delle settimane avevano smesso di insistere. Non sarebbe arrivata nessuna novità nemmeno dal lavoro: dopo aver picchiato a sangue l’assassino che aveva tolto la vita alla sua partner, l’Agente Speciale Shelley Rose, l’Agente Speciale al Comando Maitland non aveva avuto altra scelta che sospenderla. Certo, era riuscita a risolvere il caso, ma quella era una magra consolazione. Non era sufficiente. Aveva lasciato che succedesse.

Aveva lasciato che quell’uomo uccidesse Shelley proprio sotto il suo naso.

Zoe si mosse sul divano, fissando il cellulare e calcolandone le dimensioni, il peso, il profilo di ciascun pulsante laterale. Preferiva addirittura i numeri a quei pensieri.

E non era stato soltanto l’FBI a smettere di contattarla. Zoe era uscita con John per un tempo sufficiente a iniziare a fidarsi di lui; aveva persino programmato, fissato un appuntamento, per parlargli del suo rapporto con i numeri. Ma dopo la morte di Shelley non sembrava avere senso rivederlo.

All’inizio aveva provato a chiamarla ogni giorno. Poi a scriverle, tre volte al giorno, poi due volte e infine una volta sola. I messaggi erano diminuiti rapidamente, fino a quando John non aveva smesso di provarci. Le aveva inviato un messaggio che ormai aveva memorizzato: ci sarò se/quando vorrai parlare.

Sei parole. Ventisette caratteri. E quello era stato l’ultimo messaggio che lui le aveva inviato, ventisette giorni fa. Zoe lo sapeva perché il suo orologio interno non smetteva di contare: mancavano poche ore al ventottesimo giorno. Ogni giorno scivolava via con la medesima intollerabile lunghezza, un’identica misura che si allungava sia dietro che davanti a lei, ancora e ancora.

Zoe si alzò per prendere la seconda birra e fece un salto, facendola quasi cadere per terra, quando sentì un pesante colpo alla porta. I numeri iniziarono immediatamente a sfrecciarle nel cervello: il peso del pugno che batteva alla porta, la velocità, la forza. E capì, senza alcun dubbio, di chi fosse quella mano.

“Zoe?” Quella voce superò la porta d’ingresso e attraversò l’appartamento silenzioso. La dottoressa Francesca Applewhite si era presentata a casa sua ogni singolo giorno da quando era rientrata. Aveva bussato trentasei volte alla porta. Dato che la dottoressa Applewhite bussava quasi sempre seguendo uno schema di quattro colpi – uno, uno-due, uno – finora le sue nocche avevano sopportato ben centoquarantaquattro colpi singoli.

Ma Zoe non aveva mai aperto la porta.

“Zoe, voglio soltanto sentire la tua voce,” disse la dottoressa Applewhite. “Mi basta sapere che stai bene.”

Zoe chiuse gli occhi. La voce della sua mentore oltrepassava la soglia a sessantacinque decibel, leggermente più alta rispetto al normale valore di una conversazione. Abbastanza forte da fare in modo che venisse sentita dall’altra parte della porta, nell’appartamento. Non c’era posto in cui Zoe potesse rifugiarsi per non sentire quella voce. C’era troppo poco spazio. Ci aveva provato.

“Zoe!”

Sessantanove decibel. Zoe si tappò le orecchie con le mani, cercando di respingere i numeri. “Vada via!” urlò, incapace di trattenersi. “Mi lasci in pace!”

Sentì un delicato suono sul pianerottolo. “Va bene, Zoe.” Sessanta decibel. Una voce bassa e calma. “Ora me ne vado. Chiamami se hai bisogno di qualcosa.”

Seguì una pausa di esitazione, come l’attesa di una risposta. Zoe non disse nulla. Infine, la dottoressa Applewhite si allontanò; Zoe contò i suoi passi fino alle scale, capendo dal rumore che facevano che la dottoressa Applewhite pesava ancora cinquantotto chili.

Zoe si strofinò gli occhi con la mano e prese una birra dal frigo. La aprì e fece un lungo sorso, bevendone il più possibile in una volta sola. Quasi esattamente la metà, notò, stimando il volume con i propri occhi. Si voltò per guardare il divano ma non si mosse; l’appartamento adesso le sembrava eccessivamente angusto, uno spazio troppo ristretto per i suoi pensieri.

Non poteva restare qui: non con tutti quei numeri, per tutto il resto della serata. Non poteva sentirli rimbombare inutilmente nella sua testa. Erano ovunque, e benché sapesse che l’avrebbero aspettata anche lì fuori, almeno quelli sarebbero stati nuovi.

Dopo aver sentito l’ultimo passo della dottoressa Applewhite, attese diciassette minuti per concederle il tempo necessario per uscire dal quartiere, bevendo il resto della seconda birra e gettando la bottiglia nella spazzatura, dopodiché si infilò le scarpe.


***

Zoe inciampГІ, quasi cadendo a causa di una pietra smossa sul ciglio del marciapiede. Guardando con piГ№ attenzione si rese conto che quella pietra in realtГ  era parte del marciapiede stesso, una piastrella male inserita in fase di costruzione. Non avrebbe dovuto esserci. Zoe si rimise dritta, cercando di evitare di inciampare nuovamente.

Alzò lo sguardo e vide che aveva raggiunto il solito posto in cui finiva quando andava in giro di notte dopo aver bevuto. In questo caso anche mentre beveva, dato che aveva portato con sé il resto della confezione da sei e ormai era rimasta a mani vuote. Non era stata una camminata tanto breve, il che voleva dire che era venuta intenzionalmente da queste parti, anche se non riusciva a ricordare di aver preso quella decisione. Eppure era lì, di fronte a quella stessa casa.

La casa davanti alla quale normalmente Zoe non si sarebbe mai permessa di fermarsi. Non era una coincidenza che ci venisse soltanto di notte, avvolta dall’oscurità, e quando l’alcol le placava un po’ il nervosismo. In questo modo era altamente improbabile che la vedessero, e lei poteva restarsene lì a crogiolarsi nei suoi sensi di colpa come una vigliacca, senza dover fare nulla.

Non era certo quello che voleva. Zoe desiderava più di ogni altra cosa avvicinarsi a quella casa e bussare alla porta. Voleva che ad aprirla fosse l’Agente Shelley Rose, con il suo chignon biondo perfettamente sistemato e il suo rossetto rosa privo di qualsiasi sbavatura. Voleva che Shelley le sorridesse e le dicesse qualcosa del tipo, “Sei pronta, Z?”; voleva che salissero su un aereo e andassero a risolvere un caso di omicidio insieme, e che andasse tutto bene.

Ma non sarebbe successo, perché Shelley non era più lì. Shelley ormai era sotto terra. Zoe aveva assistito al suo funerale, aveva visto calare la bara nella fossa appena scavata mentre suo marito e sua figlia erano fermi lì, accanto alla tomba, a guardare. Avrebbe voluto dire qualcosa in quel momento, ma non c’era riuscita. Voleva dire qualcosa adesso, ma le risultava ancora impossibile. E in fondo, non meritava quel sollievo.

Il marito di Shelley era rimasto senza una moglie. Sua figlia era rimasta senza una madre. Zoe avrebbe potuto bussare alla porta e dir loro che le dispiaceva, che era stata tutta colpa sua, che non era stata in grado di impedirlo. Avrebbe potuto assumersi tutta la responsabilitГ , prendere sulle spalle il peso del loro odio o qualsiasi cosa volessero lanciarle addosso, purchГ© potessero sentirsi meglio.

Ma che fosse per il loro o per il suo stesso bene, non poteva farlo. Non era soltanto una questione di cosa meritasse. E neanche una questione di coraggio. Zoe guardò la casa e cercò di pensare a cosa avrebbe potuto dire loro, ma tutto ciò a cui riusciva a pensare era che la casa aveva cinque finestre che si affacciavano sulla strada, ciascuna suddivisa in quattro vetrate; la porta era alta un metro e novantotto centimetri; il vialetto che conduceva alla porta d’ingresso era lungo un metro e ottantatre centimetri e aveva dodici lastre per pavimentazione, ciascuna delle quali aveva una lunghezza di quindici virgola ventiquattro centimetri, o sei pollici, o zero virgola centosessantasette iarde, o…

Zoe non aveva niente da dire loro. Aveva soltanto i suoi numeri. Si allontanГІ da quella casa conosciuta e da tutte le sue dimensioni, costringendosi a tornare verso casa. Ogni volta che finiva qui, si sentiva ancora peggio di quando era uscita. Eppure i suoi piedi continuavano a portarla in questa direzione.

Avrebbe dovuto smettere completamente di uscire. Non valeva la pena rischiare.

E Zoe non riusciva a vedere alcuna via d’uscita da tutto questo disastro che lei stessa aveva creato. Poteva soltanto restarsene seduta in casa e lasciare il telefono spento, ignorare le chiamate che sarebbero arrivate una volta terminato il periodo di sospensione e lasciare che tutto svanisse come nebbia nei ricordi di qualcun altro.




CAPITOLO DUE


Elara Vega guardò il suo orologio e inarcò un sopracciglio, un gesto rivolto solo a se stessa. In fin dei conti era sola, lì; i suoi colleghi erano andati via alle sei in punto, al termine della giornata lavorativa. Ma il lavoro era tutto per Elara, lo era sempre stato.

No, non era proprio così, pensò, mentre raccoglieva le sue cose e ordinava gli appunti per il mattino seguente. C’era stato un periodo in cui ad avere importanza erano state altre cose. Aveva cresciuto suo figlio, e per un certo tempo c’era stato anche suo marito, dal quale però aveva divorziato vent’anni fa. Due anni dopo, suo figlio si era trasferito in un’altra città per frequentare il college e da allora era rimasta da sola. Ma le andava bene così: soltanto lei, le stelle e i pianeti, eterni seppur fugaci.

Elara guardò con attenzione quella sua scrivania così ordinata, assicurandosi che non ci fosse qualcosa fuori posto. In cinquantanove anni di vita aveva imparato che tenere le cose in ordine era molto meno faticoso che sistemare un pasticcio.

Soddisfatta, Elara prese il suo cappotto dallo schienale della poltrona e lo indossò, dirigendosi verso la porta. Era ancora intenta a raddrizzare il colletto quando arrivò nell’atrio, dove un inserviente stava lavando i pavimenti. Le dispiaceva sempre quando restava fino a tardi e intralciava il lavoro degli addetti alle pulizie, camminando sul pavimento appena lavato.

Il planetario era organizzato con gli uffici, le stanze del personale e le sale eventi che si diramavano dall’anfiteatro centrale, che a sua volta conduceva direttamente all’atrio principale e da lì alle porte d’ingresso. Elara uscì in quello spazio buio, sempre un po’ inquietante di notte quando l’intero edificio era avvolto dalle tenebre e i posti a sedere erano vuoti. Le ricordavano sempre quei film apocalittici in cui i personaggi si imbattevano in qualcosa di toccante: un teatro abbandonato, i rivestimenti delle poltrone che si rovinavano lentamente, le apparecchiature di proiezione ormai in rovina. Si incamminò velocemente verso la tranquillità dell’atrio e dell’aria frizzante della sera.

Era arrivata a metà strada quando sentì un ronzio familiare: il suono meccanico del proiettore che entrava in funzione. Elara tentennò e si guardò attorno perplessa e meravigliata. Le stelle e i pianeti si erano improvvisamente illuminati sulla sua testa, volteggiando fino a collocarsi ciascuno al proprio posto per l’inizio della presentazione. L’aveva visto centinaia di volte; aveva persino preso parte alla verifica dell’accuratezza delle nuove mappe celesti qualche anno fa, quando erano state aggiornate, ma trovarsi nel bel mezzo di quello spettacolo in un modo così insolito era qualcosa di completamente nuovo per lei. Si sentiva come se potesse allungare una mano e toccare le stelle…

Ma chi era stato ad accendere il proiettore? Tutti i suoi colleghi erano tornati a casa da un pezzo e non avrebbe dovuto essere acceso a quest’ora. La musica d’orchestra iniziò a suonare, talmente forte da coprire tutto il resto. Elara aggrottò la fronte e iniziò a voltarsi, pensando che sarebbe stato il caso di dare un’occhiata alla sala di proiezione…

Invece si ritrovò a fissare il pavimento, in ginocchio. Com’era finita in quella posizione? Appena un minuto prima, era stata… ma avvertì un dolore alla nuca, ricordò un impatto fragoroso, più assordante della musica stessa, e scoprì che le sue gambe non erano più in grado di reggerla, e neanche le sue braccia, e che tutto stava pulsando…

Sentì anche qualcos’altro, qualcosa alla nuca, un nuovo dolore… una mano che la stringeva con forza, senza riguardi per la sua delicata pelle. Elara tentò vagamente di divincolarsi, ma la mano la strinse più forte e il dolore le arrivò da un luogo ancora più distante. Forse da un altro pianeta, un corpo celeste avvolto dalla distanza e dalla luce di altre stelle. Si stava muovendo. No, qualcuno la stava portando da qualche parte. Le sue gambe strisciavano impotenti a terra.

Elara lottò per rialzarsi, per impedire ai suoi piedi di scivolare su quel pavimento liscio, ma niente sembrava funzionare; la musica era talmente assordante, le luci così accecanti. Qualcosa di caldo le stava colando dalla fronte, finendole negli occhi. Si ritrovò a guardare in basso, verso qualcosa di rotondo, di metallico, che conteneva qualcosa che scintillava e si muoveva, una superficie che rifletteva la luce, e poi…

L’acqua fredda fu uno shock per il suo corpo e la fece ansimare ad alta voce: quella fu l’unica reazione che riuscì a comprendere con lucidità da quando aveva visto accendersi il proiettore. Peccato che fosse anche una reazione del tutto inappropriata in questo caso: sentì l’acqua – e non l’aria – invaderle la bocca e scendere in gola, provando una sensazione di panico che dissipò le nebbie della confusione e del dolore alla testa. Capì che doveva assolutamente uscire da lì, scappare, tornare in superficie, tornare a respirare.

Elara lottò con tutte le sue forze, aggrappandosi ai lati del secchio di metallo e sentendolo agitarsi sotto di sé, ma era tutto inutile. Sulle sue spalle c’era un peso che la teneva giù e le impediva di alzare la testa e uscire dall’acqua. La sua vista iniziò a oscurarsi; davanti ai suoi occhi comparvero minacciose macchie nere, che lottavano e danzavano con gli sprazzi di luce che filtravano nell’acqua, mentre lei si agitava nel disperato tentativo di sollevare la testa.

Elara cercò con un ultimo sforzo di lanciarsi all’indietro, di ribaltare il secchio, ma la sua gola era ormai in preda agli spasmi e la vista si stava annebbiando del tutto, e capì di non avere più speranze. Una contrazione dolorosa al petto la costrinse a cercare di respirare ancora una volta, ma non ci riuscì. E infine calò un’oscurità talmente assoluta da non permetterle di vedere più nulla, neanche i bagliori di stelle lontane milioni di anni luce, che morivano in un’altra galassia o che forse erano già morte.




CAPITOLO TRE


Zoe dovette fermarsi due volte mentre camminava in cucina, prendendosi la testa tra le mani e ansimando. Aveva bisogno di reidratarsi. Si voltò verso la parte anteriore della stanza e le finestre, ma se ne pentì immediatamente. Non aveva tirato le tende ieri sera, e ora il sole della tarda mattinata stava filtrando attraverso le vetrate, inondando la stanza con un bagliore tale da farle rimbalzare il dolore in tutto il cranio.

I postumi della sbornia aggiungevano la beffa al danno. Ieri sera aveva consumato circa cinquantasei millilitri di alcol e il suo organismo avrebbe dovuto smaltirlo entro sette ore. Ma lei era andata a letto tardi, senza neanche togliere le scarpe, ed era altamente possibile che avesse continuato a bere una volta tornata a casa, anche se non lo ricordava. In ogni caso, la sua testa stava pulsando e desiderava soltanto tornare a dormire.

Sulla sua scala personale, il dolore era probabilmente un sei. Il rumore era persino peggiore: Zoe odiava la città durante il giorno. Anche rinchiusa nel suo appartamento, con le finestre chiuse, riusciva a sentirlo: il flusso costante di pneumatici e motori sull’asfalto, che le indicava la velocità media del traffico sulle strade più vicine; l’inquilina del piano di sopra che camminava con un tonfo pesante, comunicando a Zoe che si stesse dirigendo verso il frigo, perché la disposizione dei loro appartamenti era la stessa e la donna aveva fatto sette passi verso sud. E poi era tornata indietro, sette passi in direzione nord.

Gli uccelli cinguettavano tra loro, vivendo intere vite in questa città nonostante non ci fossero molti alberi. Il ritmo dei loro richiami prudeva nella testa di Zoe: un richiamo con tre cinguettii, un altro con tre cinguettii e un altro ancora, sempre con tre cinguettii. Sempre lo stesso. Poi un po’ di silenzio prima che ricominciassero da capo. L’unica variazione fu quando uno degli uccelli lanciò un cinguettio un po’ più rauco prima di tornare al solito ritmo.

“Zitti, dannati uccelli,” disse ad alta voce Zoe, coprendosi il viso con le mani. Un delicato miagolio vicino alla porta le fece aprire gli occhi e vide Pitagora, il suo birmano, che la osservava con uno sguardo di rimprovero.

Zoe gemette. Quantomeno le restava la routine della sua vita. I gatti avevano ancora bisogno di mangiare. Tirò fuori la latta dalla credenza e l’agitò, fino a quando il rumore metallico non le fece capire che aveva estratto centoventi pezzi singoli di cibo per gatti essiccato. Pitagora ed Eulero si precipitarono immediatamente verso le rispettive scodelle, aggredendole, mentre lei li osservava e prendeva un antidolorifico con un bicchiere d’acqua.

Zoe si sforzò di bere fino all’ultima goccia, riempiendo subito dopo il bicchiere. Ne servivano altri tre per far sparire il mal di testa, ma si sentiva già meglio.

Un forte rumore alla porta la fece trasalire talmente tanto che le cadde una grossa goccia d’acqua sul pavimento.

Non adesso, dottoressa, pensГІ Zoe, ma qualcosa non le quadrava. Sembrava che il colpo fosse partito da un pugno piГ№ pesante. Era anche piГ№ deciso rispetto a quello della dottoressa Applewhite, e non seguiva il solito schema. Toc-toc-toc: mancava il quarto toc ed era stato fatto una sola volta. Zoe pensГІ che potesse trattarsi di un uomo. Strano.

Forse l’FBI le aveva inviato tutto quello che aveva lasciato al J. Edgar Hoover in un pacco ed era necessario che firmasse. Sì, era probabile. Forse non del tutto, ma abbastanza da indurla a muoversi e andare a dare un’occhiata.

Zoe aprì la porta, lasciando che la catenina si allungasse completamente prima di vedere che si trattava dell’Agente Speciale al Comando Leo Maitland, il suo comandante. Era fermo davanti alla porta con le braccia dietro la schiena e un’espressione gentile sul viso. Non era per forza un buon segno. Maitland aveva un sacco di cose da fare e non sprecava il suo tempo in visite a domicilio. Qualcosa in quello sguardo – oltre alla sua istintiva obbedienza nei confronti di un suo superiore – spinse Zoe a chiudere la porta, sganciare la catena e aprire di nuovo per trovarsi faccia a faccia con lui.

Si pentì di non aver scelto un abbigliamento più adatto o di non aver pettinato i capelli, ma ormai era inutile piangere sul latte versato.

“Agente Prime.” La voce di Maitland era simile a un tuono. Con il suo metro e novanta di altezza la sovrastava di tredici centimetri, una differenza che ora stava sfruttando per guardarla dall’alto, proprio come un insegnante guarda un ragazzino ribelle.

“Signore,” disse Zoe, cercando di parlare con voce ferma. Non aveva voluto occuparsi di nessuna questione di lavoro. Non quando i numeri erano ancora dappertutto: persino adesso stava misurando gli angoli nella postura militare di Maitland, notando che il petto di centoquattordici centimetri e i bicipiti di trentotto centimetri dell’uomo non si erano affatto ridotti dall’ultima volta in cui era stata nel suo ufficio.

Da quando le aveva detto di tornare a casa in licenza, perchГ© aveva visto il cadavere della sua partner e aveva preso a pugni un tizio senza mostrare alcuna intenzione di fermarsi.

“Vengo direttamente dal Quartier Generale. Volevo parlarle di persona,” disse. La sua voce era profonda. “Le dispiace se entro?”

Zoe lo guardГІ per un istante senza capire. Cosa voleva dire quel tono? Era arrabbiato con lei? Divertito? Deluso? Cosa? Riusciva solamente a sentire i sessantuno decibel, le tredici parole, la cadenza e il ritmo, il flusso di sillabe. Ma si fece comunque da parte e indicГІ il divano, e Maitland le passГІ accanto, guardandosi attorno come se volesse fare attenzione a dove mettesse i piedi.

Non per evitare di calpestare qualcosa, ma per non sporcarsi le scarpe.

Maitland si sedette sul divano mentre Zoe chiudeva la porta. Poi tentennò per un istante: visto che di solito non riceveva visite, non aveva mai sentito la necessità di acquistare delle poltrone. C’era soltanto il divano, e questo voleva dire che sarebbe stata costretta a sedersi accanto a lui; imbarazzante e inappropriato, e anche disorientante, perché non sapeva a quale angolazione posizionare il proprio corpo. Si sedette dopo un attimo di esitazione e infine si sistemò a un’angolazione di quarantacinque gradi, una via di mezzo ottimale che le permetteva di prestare attenzione al suo ospite ma senza doverlo guardare direttamente in faccia.

“Agente Prime,” disse nuovamente Maitland, come se stesse cercando di scegliere le parole con molta attenzione. “Cos’è successo ieri?”

“Ieri?” ripeté ottusamente Zoe. La sua mente cominciò a tornare indietro nel tempo. Ieri? Cosa aveva fatto? Era rimasta svogliatamente seduta davanti alla finestra, aveva mandato via la dottoressa Applewhite ancora una volta e poi era andata a fare una passeggiata. Ah. La passeggiata. Forse Harry Rose aveva presentato un reclamo.

Maitland si mosse per trovarsi faccia a faccia con lei. Zoe notò che i suoi capelli rasati erano della stessa lunghezza di sempre, sebbene fossero più grigi rispetto all’ultima volta che l’aveva visto. “Il suo periodo di sospensione si è concluso ieri. Mi aspettavo che tornasse in servizio.”

“Era ieri?” domandò Zoe, sfogliando mentalmente il calendario. Sì, pensò, il numero di giorni era corretto. Ed era anche mercoledì, quindi suppose che la data fosse giusta. Le era completamente passato di mente.

“Le ho inviato diverse e-mail al riguardo,” disse Maitland, dopodiché spostò leggermente la testa, dando un’occhiata all’appartamento. Zoe vide l’angolazione del mento dell’uomo e le fu subito chiaro cosa stava guardando: il computer, che era spento; il cellulare, morto; il telefono fisso, staccato. “Ho provato anche a chiamarla diverse volte, e non riuscendo a mettermi in contatto con lei, le ho lasciato numerosi messaggi in segreteria.”

Zoe annuì lentamente, seguendo un determinato ritmo: uno, due, tre. “Mi dispiace,” disse, sebbene non lo sentisse particolarmente. “Non ho controllato molto la mia corrispondenza, ultimamente.”

Maitland sospirò. “Ascolti, Zoe, so che sono stati due mesi difficili per lei,” disse. “Le ho dato una sospensione di sei settimane perché sapevo che avrebbe comunque dovuto prendersi un permesso. È obbligatorio quando un agente perde il proprio partner. Soprattutto nel modo in cui è capitato a lei. È andata dal terapista?”

Zoe scosse lentamente la testa. Di nuovo a ritmo, uno, due, tre. Non aveva senso mentire. Lui avrebbe potuto controllare i registri. Probabilmente l’aveva già fatto. È solo che a lei non sembrava essere utile. Dopotutto aveva già la sua strizzacervelli. Anche se non c’era andata.

“Perché no?” domandò Maitland.

Zoe pensò alla risposta da dargli. Ci pensò troppo a lungo. I secondi passarono, tre, quattro, cinque, e alla fine Maitland si spazientì.

“Ok, mi stia a sentire,” disse, costringendo Zoe a guardarlo negli occhi. Lei cercò di concentrarsi sulle sue parole e non sul raggio della sua iride o su come questa cambiasse ogniqualvolta lui girava la testa da un lato all’altro, colpita in modo diverso dalla luce. “Il motivo per cui oggi mi trovo qui è perché ho bisogno di sapere quali sono le sue intenzioni. Ha scelto di non tornare al lavoro. Dovrei considerarle le sue dimissioni?”

Zoe aprì rapidamente la bocca in modo che lui capisse che voleva rispondere. In fondo non era una domanda difficile. “Sì,” rispose immediatamente. Come avrebbe anche solo potuto considerare di rientrare al lavoro? Come avrebbe fatto a camminare per quei corridoi senza avere accanto la sua partner? Prima di Shelley, l’avevano odiata tutti. Le avevano voltato le spalle. Con la morte di Shelley sarebbe stato anche peggio.

Maitland annuì lentamente, proprio come aveva fatto lei. A ritmo. Uno, due, tre. “Va bene,” disse. “Se ne è sicura. Tuttavia, avrò bisogno che lo metta per iscritto.”

Zoe guardò verso il computer e annuì in silenzio. Avrebbe scritto qualcosa e gliel’avrebbe inviata il prima possibile. Forse già domani.

Maitland si alzò, sollevando la sua imponente figura con una certa cautela, ovviamente riluttante a restare in questa casa ancora a lungo. “Ma prima di scrivere la sua lettera di dimissioni…” disse, porgendole un fascicolo. Zoe era stata talmente concentrata sulle misure di quell’iride da non accorgersi neanche del fatto che fosse posato sul ginocchio dell’uomo. Era marrone e di dimensioni standard, con un sottile bordo bianco di due millimetri che faceva capolino. “Penso che dovrebbe dare un’occhiata a questo. Potrebbe interessarle, e io potrei avvalermi del suo aiuto.”

Zoe lo guardГІ con diffidenza e Maitland sospirГІ prima di posarlo sul tavolino.

“Conosco la strada,” disse, dirigendosi verso la porta. Appena prima di raggiungerla, si fermò e si voltò per guardarla. C’era qualcosa sul suo viso, qualcosa che Zoe pensò potesse essere tristezza. “Lei è un buon agente, Prime. Sarebbe un peccato se quel figlio di puttana mettesse fine alla carriera di due dei miei migliori agenti. Ho visto altri agenti subire questo tipo di perdita, e la cosa migliore per loro è sempre stata quella di tornare al lavoro.”

Dopodiché aprì la porta e se ne andò, e Zoe rimase a fissare il fascicolo lasciato sul tavolo, esaminandone le dimensioni e cercando di ignorare tutto il resto.


***

Non era neanche mezzogiorno e Zoe si sentiva già a pezzi. La sua emicrania non era ancora sparita, e in più era stanca morta. Dopo aver camminato per metà della notte e aver bevuto, si sentiva come se fosse stata privata di tutte le forze. Ma non era il primo giorno che si sentiva così. Ultimamente era stata la norma.

Si alzò dal divano e si trascinò verso la camera da letto, gettandosi sulle coperte senza preoccuparsi di spostarle né di spogliarsi. Chiuse gli occhi, appoggiando la testa sul cuscino, e si lasciò avvolgere dall’oblio del sonno.

“Z, devi ascoltare.”

Zoe si voltГІ, guardandosi attorno e vedendo Shelley, che era in piedi davanti a lei. Indossava un bel vestito, i suoi capelli e il trucco erano ancora piГ№ ordinati del solito e il suo fisico era slanciato dai tacchi. Zoe abbassГІ lo sguardo su di sГ©, vedendo che stava indossando lo stesso vestito. Si trovavano nel bagno delle donne di un ristorante, mentre i rispettivi compagni le aspettavano in sala.

“Cosa?” domandò Zoe, aggrottando la fronte. C’era qualcosa di strano, ma non riusciva a capire di cosa si trattasse.

“Devi ascoltare,” insistette Shelley.

Zoe aggrottò ancora di più la fronte e fece un passo verso la sua partner, ma Shelley riuscì a restare alla stessa distanza pur senza muoversi. “Ascoltare cosa?” domandò Zoe.

Shelley indicò alle sue spalle e Zoe si girò: vide il riflesso del suo viso allo specchio, senza il trucco e il vestito elegante ma com’era adesso, spettinata e pallida, trasandata e con le occhiaie.

Ma non c’era nient’altro.

Zoe si voltò nuovamente verso la sua partner, ma Shelley era muta e la fissava con una tale concentrazione e una tale forza da smorzare le parole che volevano disperatamente uscire dalla sua bocca. Riuscì soltanto a ricambiare quello sguardo, cercando di comprenderne il significato, ma gli occhi della sua partner si velarono di bianco e smisero di fissare qualsiasi cosa.

Zoe scattò in piedi, ansimando. Era sudata e accaldata, e si accorse di avere i capelli bagnati di sudore quando alzò la mano per spostarli dalla fronte. Ci mise molto a togliersi dalla mente l’immagine degli occhi bianchi di Shelley, e quando si girò di lato vide di fronte a sé un altro enorme paio di occhi. Zoe lanciò un urlo e saltò dall’altra parte del letto, per poi accorgersi che si trattava di Eulero, intento a fare le fusa e a guardarla con timore e con una zampa sollevata verso di lei.

Zoe riprese fiato e allungò la mano per accarezzarlo dietro l’orecchio, in modo che capisse che andava tutto bene. Il cuore continuava a batterle all’impazzata. Eulero scosse la testa e si allontanò, perdendo interesse per lo strano comportamento del suo umano. Zoe contò i suoi passi fino a quando non uscì dalla stanza, dopodiché cercò di contare i propri respiri, rallentandoli il più possibile.

Altro che riposino rigenerante. Zoe portГІ le gambe fuori dal letto, facendole oscillare brevemente prima di posare i piedi sul pavimento, sentendo con un certo sollievo quella superficie fredda, che le ricordava che non si trovava piГ№ in un sogno. O meglio, in un incubo. Cosa stava cercando di dirle Shelley? Zoe non ne aveva la piГ№ pallida idea. Era quello il problema del subconscio: forse non significava proprio niente.

Seguì Eulero in cucina, pensando che le avrebbe fatto bene prendere un altro bicchiere d’acqua e fare una doccia. Appoggiata al bancone della cucina per bere, il suo sguardo vagò fino a posarsi sul tavolino da caffè e sul fascicolo. Lo ignorò. Non era il momento giusto. Distolse lo sguardo, desiderando che Maitland non gliel’avesse affatto lasciato.

Zoe abbassò lo sguardo sul proprio corpo: indossava una felpa e un paio di leggings non abbinati, risalenti al periodo dell’università, ormai consunti e sbiaditi. Non si lavava i capelli da giorni. Avrebbe potuto farlo, quantomeno per far passare il tempo.

Si fermò in bagno, colpita dall’immagine del suo stesso viso allo specchio. Evitava di guardarsi da molto tempo, ma qualcosa, probabilmente il sogno, l’aveva finalmente indotta a farlo. Ora si vide come doveva averla vista Maitland: tutta occhiaie, capelli unti e spettinati e carnagione pallida. Aveva un aspetto terribile.

E in fondo lo meritava. Non aveva forse lasciato che la sua partner venisse uccisa? Zoe chiuse gli occhi per un istante per scacciare il dolore.

Le tornarono in mente le parole di Maitland. Il pensiero che gettarsi nuovamente in un caso potesse renderle piГ№ facile lasciarsi alle spalle tutta questa sofferenza.

Magari avrebbe potuto dare un’occhiata al fascicolo. Almeno così avrebbe scongiurato una nuova visita da parte di Maitland, e forse la sua partner morta avrebbe smesso di infestare i suoi sogni. O quantomeno avrebbe potuto dire a se stessa di averci provato.

Zoe si avvicinò al tavolino prima che la sua determinazione potesse svanire e prese il fascicolo. All’interno c’erano quattro fogli di carta, due per vittima. Due vittime. Si sentì male soltanto a tenerli tra le mani, sentendo il bisogno impellente di metterli giù, ma l’immagine del viso di Shelley era ancora ben presente nella sua mente, e così Zoe iniziò a leggere.

Esaminò rapidamente le informazioni che vi erano contenute, venendo subito travolta dalle parole e dalle frasi. Cadaveri ritrovati a nord di New York. Da quelle parti faceva freddo in questo periodo dell’anno, pensò. A prima occhiata, le due donne erano state uccise in modi diversi; persino i loro dettagli erano differenti. Zoe non notò alcun collegamento nelle loro età, nel peso corporeo e nell’altezza, negli indirizzi di casa e, appunto, nel modo in cui erano state assassinate.

In realtà c’era un elemento che le collegava, una ragione per la quale questi due casi erano stati inseriti nello stesso fascicolo e portati alla sua attenzione. Entrambe le donne avevano un simbolo intagliato sull’addome dopo la morte, probabilmente con la punta di un coltello: una linea piatta dalla quale scendevano due gambe perpendicolari. Zoe lo riconobbe immediatamente: era il simbolo del pi greco.

Interessante. Adesso capiva per quale motivo Maitland le avesse lasciato il dossier. Era esattamente il caso che in passato avrebbe seguito. Il genere di caso di cui Shelley avrebbe sentito parlare e per il quale avrebbe proposto i loro nomi, se non ci avesse pensato prima Maitland. Segni e simboli, equazioni, strani indizi che sembravano sfuggire alla comprensione degli altri agenti. Era esattamente la sua specialitГ .

E in un certo senso quel pensiero era quasi rigenerante. Permettere nuovamente che i numeri lavorassero su qualcosa di davvero importante. Quello che lei aveva reso lo scopo della propria vita. Cercare collegamenti e indizi, risolvere un omicidio. Era bello che i numeri le stessero finalmente comunicando informazioni riguardanti un caso e non soltanto le dimensioni del suo appartamento e di ciò che c’era dentro. Sì, era un vero e proprio sollievo.

Non voleva dire che ci avrebbe lavorato, ma ne era incuriosita. Abbastanza da volerne sapere di più, anche se quello significava doversi recare personalmente da Maitland. Forse avrebbe potuto tenere a bada i numeri ancora un po’, dar loro qualcos’altro su cui concentrarsi. E forse, soltanto per cinque minuti, avrebbe potuto sentirsi nuovamente se stessa.

Ma prima di raggiungere il J. Edgar Hoover c’era qualcosa di più importante da fare.




CAPITOLO QUATTRO


Zoe tenne lo sguardo fisso sulla parte posteriore dell’auto davanti a lei. Finora era stato difficile guidare. Era arduo concentrarsi sulla strada quando non riusciva a smettere di esaminare le targhe, i gas di scarico, tenere il conto del numero di auto dello stesso colore, della stessa marca e dello stesso modello, intravedere le persone sedute negli abitacoli, ciascuna con le proprie misure e i calcoli che ne derivavano. Tuttavia, in qualche modo era riuscita ad arrivare fin qui, concentrandosi sul mantenere la stessa velocità per la maggior parte possibile del tragitto.

La strada in cui si trovava adesso era piuttosto familiare. Zoe conosceva questi edifici, sapeva che uno aveva un piano in più degli altri e che aveva sviluppato una leggera inclinazione di cinque gradi a causa del calo delle fondamenta; sapeva anche l’orario, grazie all’angolazione del sole sul marciapiede. Era stata qui diverse volte e aveva già fatto tutti quei calcoli; si guardò attorno, vedendo i numeri fluttuare davanti ai suoi occhi, e fu a malapena in grado di concentrarsi nuovamente e ricordare per quale motivo fosse venuta qui.

Trovò un posto in cui parcheggiare l’auto, il che era già di per sé un miracolo. Zoe si fermò per guardarsi allo specchietto retrovisore. Era ancora pallida e i suoi occhi avevano ancora quegli aloni neri, ma stava decisamente meglio rispetto a prima. Una doccia e un abbigliamento più consono avevano fatto la differenza, anche se soltanto esternamente.

Non sarebbe bastata una doccia a rimetterla in sesto internamente.

Trovò la forza di alzarsi dal sedile, aprire la portiera e scendere dall’auto. Fissò quel palazzo familiare, guardando l’ingresso e tutte le dimensioni che le si affacciarono subito davanti agli occhi, e proseguì.

L’ufficio della dottoressa Lauren Monk era al terzo piano. Visitava i suoi pazienti lì, di solito a orari predefiniti; Zoe non aveva fissato un appuntamento, ma aveva chiamato in anticipo per assicurarsi che la sua terapista fosse disponibile.

La dottoressa Monk era seduta alla sua scrivania e la porta del suo ufficio era aperta; era chiaramente disponibile. Zoe attraversò lo spazio luminoso della sala d’attesa, colorato di rosso, giallo e blu, ed entrò nello studio, dove una ben nota poltrona in pelle consunta la stava chiamando. Zoe ignorò quel richiamo e rimase in piedi, rivolgendo lo sguardo alla dottoressa Monk, che lo ricambiò.

Zoe non capiva quella sua espressione. Tutto ciò che riusciva a vedere erano le dimensioni: la distanza tra i suoi occhi, l’angolo delle sue sopracciglia, la lunghezza di ciascuno dei suoi capelli, che cadevano sul viso in modo talmente folto che fu quasi impossibile per Zoe riuscire a vedere il volto. Notò che l’aspetto della dottoressa Monk non era cambiato minimamente dall’ultima volta in cui Zoe l’aveva vista, un paio di mesi fa, quando la sua terapista le aveva comunicato che ormai non avrebbe avuto più bisogno del suo aiuto. Era ancora la stessa, con i suoi capelli scuri a caschetto tagliati in modo piacevolmente dritto e la stessa voglia a un centimetro dalla sua bocca, sul lato destro.

“È bello rivederti, Zoe,” disse la dottoressa Monk, alzandosi dalla sua postazione. Di solito si sedeva di fronte alla poltrona in pelle durante le sedute, in modo da trovarsi faccia a faccia con il paziente. “Sono passate settimane.”

“Non volevo fissare un altro appuntamento,” disse Zoe, incrociando saldamente le braccia al petto. “Lei mi aveva detto che stavo meglio.”

“Era così,” disse delicatamente la dottoressa Monk. Girò attorno alla scrivania per portarsi proprio di fronte a Zoe. “Ma il lutto può compromettere anche la riabilitazione di maggior successo. Può far apparire inefficaci le nostre strategie di adattamento o farci sentire come se fosse inutile continuare a seguirle. Dopo la morte di una persona cara è normale aver bisogno di un po’ di aiuto in più.”

Zoe si sforzò di vedere al di là dei numeri per cercare nuovamente di capire l’espressione della dottoressa Monk, ma senza riuscirci. “Pensavo di avere tutto sotto controllo.”

La postura della sua psicologa si addolcì e le sue spalle si rilassarono. “Vorrei che fissassi un altro appuntamento, Zoe. Senza aspettare troppo. Anzi, il prima possibile.”

“Okay.” Zoe fece un respiro. “Non è per questo che sono qui.”

La dottoressa Monk annuì lentamente. “Vedo che stai passando un periodo molto difficile. Puoi dirmi come stai dormendo?”

“Non dormo molto.” Zoe scrollò le spalle. “Vado a letto tardi la sera e mi sveglio tardi la mattina. L’alcol aiuta, ma poi mi sento stanca. A volte dormo durante il giorno.”

La dottoressa Monk annuì di nuovo, stavolta più velocemente, muovendo la testa quattro volte. “Ho il sospetto che tu stia sperimentando un episodio depressivo maggiore,” disse. Zoe non poté fare a meno che essere d’accordo con quell’affermazione. In fondo la dottoressa Monk la conosceva abbastanza bene. E poi lei non sapeva nulla della depressione, ma si fidava della sua terapista. “Dovrò prescriverti alcuni farmaci che ti aiuteranno a sentirti meglio. Adesso ti firmerò una prescrizione e ne parleremo ulteriormente durante la nostra seduta.”

Zoe annuì, ripetendo lo stesso schema che aveva visto eseguire dalla dottoressa. Uno, due, tre, quattro, stop. “Fisserò un appuntamento in settimana.”

La dottoressa Monk esitò, mordendosi il labbro inferiore e toccandolo con l’estremità di una penna, tenendo in mano la ricetta non ancora compilata. “Quanto stai bevendo?” domandò.

Zoe fece di nuovo spallucce. “Fino a quando i numeri non si calmano.”

Zoe guardò la circonferenza degli occhi della dottoressa Monk aumentare di dimensione, la pelle sollevarsi insieme alle palpebre e gli angoli delle rughe, appena visibili ai lati degli occhi, cambiare. “Va bene.” Compilò la ricetta con un rapido movimento del polso, dopodiché tornò alla sua scrivania per frugare in un cassetto. “Ora voglio che tu prenda i farmaci che ti ho prescritto, ma nel frattempo bisogna gestire questo problema. Ecco, queste ti aiuteranno ad andare avanti.”

La dottoressa Monk si avvicinГІ con una confezione di pillole in mano, con il foglio argentato del blister che rifletteva la luce filtrante dalle ampie finestre, e la porse a Zoe, che la prese meccanicamente.

“Inizia a prenderle stasera,” continuò la dottoressa Monk. “Una a ogni pasto, la mattina, il pomeriggio e la sera. Assicurati di prenderle a stomaco pieno. E niente più alcol, okay? Queste dovrebbero servire anche a calmare i numeri. Non mischiare l’alcol con queste pillole. È tutto chiaro?”

Zoe annuì. “Inizierò e prenderle stasera,” disse.

La dottoressa Monk fece un respiro esitante. “Cos’hai da fare adesso? Hai tempo per una seduta?”

“Sto andando al lavoro,” disse Zoe.

“Sei tornata in servizio?” la dottoressa Monk sembrò allarmata.

“No. La mia sospensione è terminata ieri, ma non sono rientrata.” Zoe fece un respiro. “Devo parlare con l’Agente Speciale al Comando.”

La dottoressa Monk annuì. “Va bene. Va’ pure. Ma voglio vederti il prima possibile.”

“Ok.” Zoe si diresse verso la porta, con il blister ancora saldamente stretto in mano. Non osò girarsi a guardare la dottoressa Monk. I numeri strisciavano sul viso della terapista a sua insaputa.

Zoe si fermò un attimo in auto, prendendo una bottiglietta d’acqua e ingoiando una delle pillole. Non poteva aspettare. Ne aveva bisogno subito per riuscire a parlare con Maitland.


***

Il J. Edgar Hoover Building era tozzo e geometrico in modo rassicurante, tutte linee dritte in cemento grigio opaco. A Zoe piaceva il modo in cui era organizzato: era simmetrico, con schemi ripetuti per ogni piano, che permettevano di sapere sempre quale strada prendere. Un vero e proprio sollievo per lei. Quantomeno avrebbe potuto aspettare che le pillole facessero effetto senza essere troppo distratta dai numeri.

Pensò di dover attendere un po’ prima di parlare all’Agente Maitland, ma quando bussò tre volte alla sua porta, l’uomo rispose subito, invitandola ad entrare.

In questo modo, Zoe non ebbe il tempo di essere nervosa; allungò la mano verso la maniglia della porta e la girò, facendo un passo avanti. Meglio così. Era abituata ad aspettare nel corridoio esterno con una certa ansia, domandandosi per cosa sarebbe stata redarguita questa volta, ma non oggi.

“Agente Prime.” Maitland la guardò piuttosto sorpreso, posando sulla scrivania i documenti che stava esaminando. “Non l’aspettavo così presto.”

Zoe annuì, dal momento che non sapeva cosa rispondere. “Ho esaminato il fascicolo del caso.”

“E…?” Maitland appoggiò le mani sulla scrivania davanti a sé, una sull’altra, in attesa. Zoe le guardò per un istante e vide gli angoli che si intersecavano, ma distolse subito lo sguardo.

“Ero curiosa,” disse. “Non sto accettando il caso. Volevo soltanto sapere perché mi ha dato questo dossier.”

Maitland la fissò per un lungo istante; la sua espressione era illeggibile. “Lei è sempre stata la migliore con questo genere di casi,” cominciò, con un tono burbero ma al tempo stesso tranquillo. “Non creda che non abbia mai notato la sua abilità ad avere a che fare con casi che non riguardano serial killer ordinari. Lei è perfetta quando le cose si fanno strane. Quando abbiamo bisogno di vedere la faccenda da un punto di vista, diciamo così, non convenzionale.”

Zoe ci pensò su. Quello che diceva era vero. È solo che non riusciva a capire se si sentisse lusingata dalle sue parole o se in fondo lui le stesse dando della stramba. “Ho lavorato su diversi casi del genere,” rispose.

“Non voglio costringerla, Agente,” disse Maitland. “Se torna al lavoro e non è pronta, le cose potrebbero mettersi male. Per entrambi. Ma penso anche di conoscerla abbastanza bene da sapere che dà il meglio di sé quando ha davanti un enigma su cui lavorare. Sarò franco. La voglio su questo caso. A dire il vero, non credo che ci sia qualcun altro in grado di lavorarci come farebbe lei.”

Zoe venne travolta da un mare di pensieri. Era difficile concentrarsi su quelle parole quando i numeri continuavano a comunicarle i decibel, la lunghezza delle parole e delle sillabe, le dimensioni della scrivania e di tutto quello che c’era sopra. Sarebbe stato piacevole avere a che fare con qualcosa di nuovo. Avrebbe potuto utilizzare i numeri per fare del bene, come faceva prima.

Sarebbe stato bello fare la differenza. Magari salvare una vita o due.

A patto di non dover trascinare nessun altro in pericolo con lei.

“Accetterò il caso,” disse lentamente. Il viso di Maitland si illuminò; non era un sorriso, ma era sicuramente qualcosa di più vivace della sua solita espressione impassibile. Ma Zoe continuò, per evitare che a lui sfuggisse la parte più importante. “A condizione che possa occuparmene da sola. Non voglio che mi venga assegnato un altro partner.”

Maitland inclinò la testa a un angolo di dieci gradi in più rispetto a prima, e i suoi occhi si restrinsero del quindici percento. “Sa che non posso farlo, Agente.”

“Ho già lavorato da sola in passato,” gli fece notare Zoe. Era vero. Prima di Shelley, quando cambiava frequentemente partner perché nessuno era in grado di sopportare a lungo le sue stranezze, aveva risolto da sola molti casi.

“Non su un caso del genere,” disse Maitland. “Soltanto su crimini più semplici. E non subito dopo la morte della sua partner. Sono spiacente, Zoe. Non sto dicendo che Shelley verrà sostituita. Non potrà mai essere sostituita. Ma dovrà collaborare con un altro agente.”

Zoe abbassò lo sguardo sul pavimento, dove c’erano meno numeri. “Preferirei davvero non lavorare con una nuova persona.”

“Beh, temo che ci sia già qualcuno in lista d’attesa. Vedrà, sarà perfetto.” Maitland alzò la voce per farsi sentire. “Se è là fuori, Agente Flynn, entri pure. È tempo che voi due vi conosciate.”




CAPITOLO CINQUE


La testa di Zoe si girò in tempo per vedere la porta che si apriva per lasciar entrare un giovane uomo che indossava un completo scuro. Era alto un metro e novanta, magro ma con l’abito abbastanza aderente da far notare la sua muscolatura, capelli neri raccolti sulla fronte, un sorriso furbo pieno di denti bianchi e dritti. Ventitre o ventiquattro anni. A Zoe non piacque da subito.

“Agente Aiden Flynn,” disse, allungando la mano davanti a sé, con quel ghigno ancora stampato sul viso.

Zoe prese la sua mano e la strinse con noncuranza, prendendo le misure del suo viso e gli angoli dei suoi zigomi alti. Aveva l’aspetto di un uomo che portava guai, dalla testa ai piedi. Quel vestito si adattava perfettamente al suo corpo: non era stato acquistato in negozio ma fatto su misura. Veniva da una famiglia benestante. La sua mano era morbida e Zoe non ebbe bisogno dei numeri per capire che le sue scarpe fossero nuove di zecca.

Zoe rivolse uno sguardo accusatorio a Maitland. “Questo è il suo primo incarico,” disse.

“È appena uscito dall’Accademia,” rispose Maitland, prima di allungarsi, mettendo le mani dietro la testa e appoggiandosi allo schienale della poltrona. La sua schiena rimase perfettamente dritta; a cambiare fu soltanto l’angolo dei suoi fianchi.

“Non voglio fare da babysitter,” scattò Zoe, forse più bruscamente di quanto avesse voluto. Maitland avrebbe ancora potuto decidere di non affidarle il caso. “Questi omicidi sono gravi. L’assassino deve essere preso alla svelta.”

“Posso farcela,” si intromise subito l’Agente Flynn. “Ero il migliore del mio corso. Me ne occuperò senza problemi.”

“Quanti anni ha?” domandò Zoe. “Ventitre?”

“Sì,” rispose l’Agente Flynn con voce perplessa. “Come ha fatto a…”

“È un ragazzino,” disse Zoe, rivolgendosi a Maitland.

Gli angoli della bocca del suo superiore si contorsero, sollevandosi di mezzo centimetro e cambiando l’espressione del suo viso. “Agente Prime, le darò due opzioni,” disse. “O lavora su questo caso insieme all’Agente Flynn o è fuori. Quale preferisce?”

Zoe guardГІ di nuovo Flynn, vedendo brulicare i numeri davanti ai suoi occhi. Oltre a essere troppo inesperto, le comunicava troppe informazioni. Quel ragazzo era tutto angoli acuti: la sua corporatura, i suoi zigomi, il suo vestito. Almeno con le persone che conosceva bene riusciva a mettere a tacere i numeri. Lavorando con lui sarebbe stato impossibile.

PerГІ non aveva mai parlato dei numeri con nessuno dei suoi partner, fatta eccezione per Shelley. La vedevano giГ  come se fosse una tipa strana, e non voleva dar loro altre ragioni per pensarlo. Quindi non poteva tirarli in ballo adesso per usarli come scusa. Non poteva dire a Maitland che vedeva numeri ovunque e che quelli le avrebbero impedito di concentrarsi.

Zoe sapeva fin troppo bene che una tale ammissione non soltanto l’avrebbe fatta apparire  una matta agli occhi di Maitland, ma probabilmente l’avrebbe anche spinto a metterla in malattia e a chiederle di sottoporsi a una serie di sedute con uno psichiatra messo a disposizione dall’agenzia – o forse persino a farla internare. Non aveva nessuna intenzione di rischiare.

“Non mi sta dando scelta, a quanto pare,” disse, nel tentativo di capire se ci fosse qualche remota possibilità che potesse fare a meno di questo nuovo partner.

“Certo che ha una scelta,” disse Maitland. “Può salire su un aereo nel giro di qualche ora oppure può tornarsene a casa. Cosa sceglie?”

Zoe sospirò. La risposta era scontata. Non poteva lavorare insieme a questo giovane idiota, con le sue scarpe scintillanti e il suo sorriso da ragazzo ricco. Ma non poteva nemmeno tornarsene a casa così; non poteva limitarsi a restarsene seduta sul divano con i suoi gatti con lo sguardo perso nel vuoto, né poteva continuare a presentarsi davanti alla casa di Shelley di notte. Aveva un dovere, non solo nei confronti della sua partner morta ma anche verso le vittime, che chiedevano giustizia. E delle vittime che sarebbero morte nei giorni e nelle settimane seguenti se l’assassino non fosse stato catturato.

I gatti sarebbero stati bene senza di lei. La sua mangiatoia a rilascio lento si sarebbe presa cura di loro. E non c’era nessun altro al mondo che avesse bisogno di lei. Non quanto questo caso.

Avrebbe dovuto reprimere le obiezioni che le bloccavano la gola, minacciando di soffocarla se non le avesse sputate. Sapeva che era quello che Shelley avrebbe voluto che facesse.

Aprì la bocca per dare la sua risposta, seppur pentendosene immediatamente.


***

Zoe lesse nuovamente i dettagli del caso per prendervi confidenza. Il volo era breve, ma aveva abbastanza tempo per memorizzare tutte le informazioni e iniziare a pensare ai passi da fare una volta atterrati. Tanto per cominciare, avrebbero dovuto dare un’occhiata all’ultima scena del crimine e ad entrambi i cadaveri.

“Ti dispiace leggerlo ad alta voce?” Flynn, seduto accanto a lei, stava disperatamente cercando di dare un’occhiata ai fogli, senza però avere successo. Le sue lunghe gambe erano stranamente piegate nell’angusto spazio del sedile dell’aereo, mentre i suoi gomiti erano una costante minaccia allo spazio personale di Zoe. “Vorrei farmi trovare pronto.”

Zoe sospirГІ sommessamente, desiderosa che lui la lasciasse in pace. Ma la sua non era certo una richiesta irragionevole. Г€ solo che non sapeva che avrebbe dovuto tradurre tutto nella sua mente, rimuovere i numeri che vedeva dappertutto e leggere il testo come un robot. Nessun contesto, nessuna inflessione, soltanto le parole scritte sulla pagina. Per lei era difficile farlo, esattamente come sarebbe stato difficile per un neonato leggere quelle pagine.

“Il primo cadavere è stato ritrovato a nord della città di Syracuse, e il secondo proprio a Syracuse,” disse. “La prima vittima era una donna di quarantuno anni di nome Olive Hanson, strangolata e lasciata nei pressi di un’ansa del fiume Oneida dove, a quanto pare, stava facendo un’escursione.”

Zoe gli passò le foto della scena del crimine, immagini che aveva già studiato. La donna era distesa sulla riva, il suo collo era violaceo mentre il resto era pallido e indistinto; i suoi occhi fissavano il vuoto. Poi l’immagine finale: l’addome esposto, la maglietta sollevata senza indizi di manomissione dei suoi vestiti, e il simbolo inciso nella sua carne già fredda. Risaltava nettamente, come succedeva sempre in casi del genere. Un taglio che squarciava la pelle bianca, macchiandola di rosso e dandole la consistenza della carne in scatola.

Zoe fissò le mani di Flynn. Non riusciva a concentrarsi sul suo viso e leggere la sua espressione, non con tutti gli angoli e i calcoli nuovi che la travolgevano ogni volta che i muscoli dell’uomo si contraevano. Ma poteva prestare attenzione al tremolio. E lo vide, non appena lui passo all’ultima foto: un tremito della sua mano che fece sussultare leggermente anche la carta. Ne era sconvolto.

Era un bene. La paura l’avrebbe reso più facile da controllare, da zittire quando lei avrebbe avuto bisogno di tempo e spazio per riflettere. E voleva anche dire che era umano, che aveva quell’empatia di cui Zoe, a detta di tutti, era carente. In termini pratici, era un bene avere accanto una persona empatica che parlasse alle famiglie delle vittime: quando percepivano che qualcuno capiva il loro dolore, erano più disposti a dire la verità.

Zoe prese gli altri due fogli, leggendo con attenzione le informazioni che vi erano riportate. “Anche la seconda vittima è una donna. Un’astronoma di nome Elara Vega, trovata morta nel planetario dove lavorava. Cinquantanove anni. Si presume che sia morta la sera prima del suo ritrovamento. È stata affogata in un secchio per pulire i pavimenti.”

Queste foto mostravano una storia simile alla prima, se non esattamente la stessa. Il corpo lasciato disteso nel punto in cui era caduto, i capelli ancora bagnati. Anche la sua maglietta era stata tirata su, i bottoni inferiori erano stati slacciati per permettere all’assassino di incidere quel simbolo sulla sua pelle. Una linea dritta superiore e poi due linee parallele verso il basso.

“Quindi non esiste una vera e propria correlazione tra le due vittime, se si esclude il simbolo,” disse Flynn. Stava esaminando con attenzione le immagini, confrontandole. “Nessuna corrispondenza in termini di luogo, metodo, tipo di donna; l’unico elemento in comune è l’età avanzata. Ma gli agenti che se ne sono occupati pensano che i casi siano collegati.”

“È palese che lo siano,” affermò Zoe, sforzandosi di mantenere la calma. “Il simbolo è un biglietto da visita. Indica che gli omicidi sono stati commessi dalla stessa mano.”

“Uhm.” Flynn le restituì le fotografie, guardandola mentre le riponeva nel fascicolo. “Ehi, ho sentito dire che sei nell’FBI da parecchio.”

“Ho dieci anni più di te,” rispose Zoe. Voltò la testa per guadare fuori dal finestrino dell’aereo. Sarebbe stato perfetto se Flynn avesse fatto silenzio. Finché guardava fuori e ignorava il vetro del finestrino, poteva concentrarsi su quelle nuvole bianche e soffici, del tutto prive di numeri.

“Hai anche avuto un sacco di partner, non è così?” domandò Flynn. “Mi hanno parlato di te quando sono stato assegnato.”

Zoe si irrigidì. Se le avesse chiesto di Shelley, si sarebbe alzata e si sarebbe diretta verso la parte anteriore dell’aereo, fingendo di dover usare il bagno. Non voleva farlo: uno spazio così ristretto sarebbe stato pieno di numeri; le dimensioni ridotte di una stanza rimpicciolita alla grandezza di un armadio. Ma sarebbe stato meglio che parlare di Shelley. Insomma, chi mai avrebbe voluto parlare dei propri fallimenti più grandi? Soprattutto quando erano così recenti e pesavano così tanto.

“Mi hanno detto che sei particolarmente in gamba quando si tratta di risolvere questi casi complicati,” disse. Si era avvicinato a lei, quasi impercettibilmente. Questione di millimetri. “Sei una sorta di genio o cose del genere.”

“Davvero?” domandò seccamente Zoe; non aveva intenzione di abboccare.

“Sì. Mi hanno detto che imparerò molto lavorando con te.”

“Chi te l’ha detto?” domandò Zoe, voltandosi per guardarlo negli occhi. Voleva sapere chi aveva parlato di lei alle sue spalle, anche se non avrebbe fatto molta differenza. Il sorriso spavaldo sul viso di Flynn tentennò e svanì, mentre i muscoli che circondavano la sua bocca si contrassero.

“Beh, insomma, un po’ tutti,” disse Flynn con voce insicura. Si spostò di nuovo, allontanandosi da lei e riprendendo la sua posizione precedente. “Voglio dire, magari riusciremo a risolvere velocemente questo caso lavorando insieme, no? Magari potrei gestire tutto io e tu potresti dirmi se mi sta sfuggendo qualcosa.”

Zoe continuГІ a fissarlo per un istante, sbattendo le palpebre una sola volta con aria sbalordita, dopodichГ© si voltГІ per riprendere a guardare fuori dal finestrino.

Non le piaceva questo Aiden Flynn. Era arrogante, forse anche piГ№ della maggior parte delle nuove reclute. Un novellino che non aveva ancora scoperto i propri limiti. Forse le sue origini avevano qualcosa a che fare con questa sua spavalderia. Molto probabilmente non era abituato a sentirsi dire di no.

Non era interessata a condividere niente con lui, men che meno le sue abilità. Doveva ancora capire bene se fossero un dono o una maledizione, ma in ogni caso non voleva affatto che un estraneo ne venisse a conoscenza. Non soltanto si trattava di una cosa che non confidava a nessuno – o quasi – ma sarebbe anche stato un insulto alla memoria di Shelley. Soltanto un partner in tutta la sua carriera aveva spinto Zoe a rivelare il suo vero io.

Questo giovane arrogante, con i suoi capelli lucenti e l’abito su misura, non sarebbe entrato nell’elenco.

Il che significava che Zoe sarebbe stata costretta a combattere su due fronti: da un lato, avrebbe dovuto tenere a bada i numeri che minacciavano costantemente di travolgere i suoi sensi per poter risolvere il caso, e dall’altro, impedire al pivello di capire in che modo ci riuscisse.

Zoe tenne lo sguardo fisso sulle nuvole, assaporando questo breve attimo di quiete prima della tempesta. Non sarebbe stato un caso semplice. SperГІ soltanto di riuscire a risolverlo velocemente, in modo da non dover sopportare troppo a lungo questo suo nuovo partner.




CAPITOLO SEI


Zoe allontanò nuovamente la cintura di sicurezza dal collo, stringendola più forte. Dovette respirare profondamente diverse volte per calmare lo stomaco. Non le era mai piaciuto essere un passeggero – le faceva sempre venire il mal d’auto – ma era persino peggio con il novellino alla guida. Prendeva le curve troppo velocemente e accelerava sui rettilinei anche se si trovava in un territorio non familiare. Ogni volta che il GPS gli diceva di prendere un’uscita, era costretto a fare una curva stretta a velocità vertiginosa per riuscirci. Era un miracolo che non avesse ancora usato il freno a mano e non avesse sbandato.

“A quanto pare siamo arrivati,” disse Flynn, allungando il collo per vedere più facilmente davanti a sé. Si erano fermati fuori dalla stazione di uno sceriffo; sembrava non esserci nessuno, a parte qualche volante parcheggiata e un solo giornalista che indossava un cappotto lanuginoso.

Zoe fece un profondo respiro di sollievo, togliendo finalmente le mani dalla cintura di sicurezza. Anche dopo essersi fermati, la pressione che esercitava sul suo collo era sufficiente a farla sentire male. La nausea, insieme all’emicrania che continuava a tormentarla e ai numeri che affollavano la sua vista, lasciarono Zoe senza fiato e incapace di concentrarsi. Voleva soltanto sedersi, appoggiare la testa al sedile e magari dormire per un po’, ma sapeva che sarebbe stato impossibile farlo.

Il novellino stava già aprendo la sua portiera per uscire dall’auto, quindi Zoe fece altrettanto, seppur a malincuore. Non poteva permettersi di restare indietro, non con un partner che non sapeva ancora come muoversi. Aveva già collaborato con delle reclute. Volevano soltanto mettersi alla prova e tendevano a seguire troppo la procedura. Erano riluttanti a separarsi dalla rigida struttura che avevano imparato all’Accademia. Quello le avrebbe provocato un grosso mal di testa e avrebbe innescato un sacco di discussioni. Proprio ciò di cui aveva bisogno in questo periodo.

Raggiunse Flynn mentre era ormai arrivato alle doppie porte dell’edificio tozzo, basso e grigio dello sceriffo. Si stava facendo tardi; un’occhiata al suo orologio le mostrò che erano le sette di sera e il sole era da tempo tramontato. La luce gialla dalle lampade di sicurezza che circondavano l’edificio lo rendeva completamente visibile; moscerini e falene si muovevano attorno a ognuna di esse, danzando avanti e indietro spinte da un’irresistibile forza d’attrazione. Il giornalista, che stava cercando di scaldarsi le mani mentre camminava su e giù, li vide entrare ma non li chiamò.

Una receptionist con una giacca di lana alzò lo sguardo quando entrarono, togliendosi l’estremità di una penna dalla bocca. “Salve, posso aiutarvi?” domandò. Zoe notò che portava tre orecchini a ogni orecchio e che le sue unghie erano di plastica, lunghe cinque centimetri e ornate con un complesso motivo screziato.

Aprì la bocca per rispondere, ma fu come se a uscire fosse un’altra voce. “Siamo dell’FBI,” disse Flynn, alzando il distintivo per mostrarglielo. “Abbiamo appuntamento con lo sceriffo.”

La receptionist annuì con noncuranza e alzò la cornetta del telefono che si trovava sulla scrivania. Disse qualche parola; Zoe era troppo occupata a contare le spirali del cavo del telefono fisso per sentirle. Dopo aver messo giù, la receptionist riportò la penna in bocca e continuò a ignorarli, studiando attentamente qualcosa che era posato sulla scrivania, appena fuori dalla loro vista.

Zoe si voltò spazientita quando sentì un rumore di passi. Più avanti, nel corridoio, si aprì una porta e ne uscì una donna. Indossava la classica uniforme beige da sceriffo, con tanto di radio e pistola infilati nella cintura. Aveva circa cinquant’anni; i suoi capelli erano leggermente grigi ma li aveva tinti, anche se erano ancora visibili radici di due centimetri.

Zoe ne stimò l’altezza in un metro e sessantotto, più bassa di lei di dieci centimetri. Pesava circa sessantotto chili e camminava con passo determinato, sebbene leggermente ingobbito; la sua schiena era più una curva che una linea retta.

“Sceriffo Danielle Petrovski,” disse, con un marcato accento newyorkese, allungando una mano davanti a sé. Inizialmente la indirizzò verso Zoe, il che fu una piacevole sorpresa: nella maggior parte dei casi, le persone erano inclini a presumere che l’uomo fosse il capo.

“Agente Speciale Zoe Prime,” disse Zoe, dandole la mano e mostrando il distintivo con l’altra. La strinse saldamente, calcolando la forza della stretta dello sceriffo. “Questo è l’Agente Speciale Adrian Flynn.”

“Aiden,” la corresse, dando a sua volta la mano allo sceriffo. Zoe mantenne un’espressione assente. Non era il caso che sapesse che aveva sbagliato di proposito per cercare di fargli calare un po’ la cresta.

“Avete intenzione di mettervi subito al lavoro o preferite trovarvi un motel per la notte?” domandò Petrovski, guardandoli entrambi in attesa di una risposta.

“Preferiremmo metterci subito al lavoro,” disse Zoe, anticipando qualsiasi tentativo di Flynn di prendere la parola. Era un novellino. Probabilmente voleva andare a dormire. “Che ne dice di iniziare mostrandoci la scena del crimine?”

“Certo.” Lo sceriffo annuì. Si toccò la tasca, indicando la presenza di chiavi. “Se a voi sta bene, vi ci porto io. È a circa dieci minuti da qui.”

Zoe annuì, dopodiché sprofondò nel silenzio più assoluto quando si voltarono per dirigersi verso l’uscita e il parcheggio. Permise a Flynn di iniziare a parlare e fare domande. Nulla di ciò che disse, né tantomeno le risposte che ottenne, diedero loro nuove informazioni rispetto a quelle che avevano già letto negli appunti. Era ancora abbastanza inesperto da non iniziare a indagare immediatamente. Voleva verificare le informazioni che gli erano già state fornite, come gli era stato detto di fare. Non sapeva ancora come investigare.

Non che Zoe fosse mai stata particolarmente brava a tirare la veritГ  fuori dalle persone, ma almeno lei scopriva le risposte in altri posti.

Fu lieta di mettersi sul sedile posteriore dell’auto dello sceriffo, nonostante quello spazio fosse solitamente riservato ai criminali. Era bello essere lontani dal sedile anteriore e usare la scusa della distanza dagli altri occupanti dell’abitacolo per continuare a non prendere parte alla conversazione. Guardò fuori dal finestrino, ammirando il paesaggio che scorreva veloce: gli alberi erano ricoperti di foglie arancioni e marroni, che ormai cadevano liberamente a terra lasciandosi alle spalle rami spogli e appassiti. Le foglie morte giacevano in ampi cumuli raccolti da qualche volontario, il quale evidentemente non aveva pensato al fatto che il giorno dopo sarebbero cadute altre foglie e che il vento gelido avrebbe potuto mandare in malora tutto il suo lavoro.

Le strade erano quasi deserte; il freddo pungente spingeva le persone a restare in casa, a meno che non fossero assolutamente costrette a uscire. Tra gli edifici il paesaggio era grigio e spoglio, ormai privo di vita in questo periodo dell’anno. Zoe appoggiò la testa al vetro, osservando il tutto con disinteresse.

Una volta arrivati a destinazione, Zoe si accorse che era quasi sul punto di crollare dal sonno, se non fosse stato per i numeri e il loro costante bisogno di essere contati.

Scesero dall’auto e si ritrovarono in un freddo parcheggio, stavolta davanti a un edificio a cupola che si ergeva su una particolare collinetta che sorgeva sul terreno della città. C’era qualcosa di teatrale in quell’enorme struttura, abbellita da alte colonne ai due lati delle porte d’ingresso.

Zoe e Flynn seguirono lo sceriffo verso l’ingresso, superando il nastro da scena del crimine apposto su ciascun lato della doppia entrata. L’ambiente interno era completamente buio, e lo sceriffo procedette a tentoni fino a quando non trovò un interruttore e accese le luci.

Zoe fece un lungo respiro: l’aria fredda della sera percorse le sue narici e le invase i polmoni, mentre osservava l’interno dell’auditorium per cogliere qualsiasi dettaglio della scena. I numeri le travolsero immediatamente i sensi, comunicandole tutto quello che doveva sapere.

“Ci siamo limitati a portare via il cadavere,” stava dicendo lo sceriffo Petrovski. “Tutto il resto è intatto. Abbiamo chiuso a chiave il posto non appena siamo arrivati. In centrale abbiamo già le foto della scena.”

Zoe si diresse verso l’area delimitata al centro della stanza. Tutte le poltrone di quella sorta di teatro, installate sulle gradinate che salivano fino a una certa altezza, erano rivolte verso quel punto preciso. Era come se fosse stato allestito per un pubblico assente. Il secchio dell’addetto alle pulizie, ancora pieno d’acqua, aveva le ruote bloccate e occupava il centro della scena.

“Ha detto che la morte è avvenuta ieri sera tardi?” domandò Flynn. “Cosa ci faceva qui la vittima a quell’ora? Capisco che lavorava qui come astronoma, ma non osservava il normale orario di lavoro?”

“No, qui gli orari possono variare,” rispose lo sceriffo. “La signora Vega stava studiando il percorso di una cometa, monitorandola attraverso i telescopi e prendendo appunti. Sappiamo che aveva completato le sue osservazioni della serata: era tutto scritto nei quaderni sistemati sulla sua scrivania. Uno dei suoi colleghi ce lo ha confermato. Pare che avesse finito e stesse per tornare a casa quando è successo.”

Zoe era ferma proprio sopra il secchio, osservando tutto. Non c’erano molte prove fisiche su cui lavorare, ma la sua attenzione fu attirata dalle lenti di un proiettore installato in alto. Dalla sua posizione e dall’angolazione alla quale era montato, capì che quest’area sarebbe stata raggiunta dalla proiezione: la luce avrebbe colpito direttamente il volto della vittima, come anche il forte audio surround proveniente dagli altoparlanti sistemati in molteplici punti su tutto il soffitto.

Aveva senso. Immaginò una donna che percorreva il tragitto verso l’uscita, seguendo una linea retta che partiva dagli uffici. Stava andando a casa. Poi il proiettore si era acceso, offuscandole i sensi e rendendola cieca e sorda per un istante. In seguito, l’assassino le aveva messo la testa nel secchio, tenendola ferma per affogarla. Non era una storia difficile da capire.

Ma non le diceva comunque abbastanza. Non ancora. Non riusciva a capire l’altezza dell’assassino da questa scena, perché lui si era limitato a colpire la vittima e metterle la testa nel secchio per portare a termine l’omicidio. Poteva soltanto stimare la forza necessaria per tenere giù un essere umano adulto intento a lottare per la propria vita. Non era un’impresa facile. L’assassino doveva essere abbastanza robusto per riuscirci.

Zoe non capiva nemmeno se il colpevole fosse stato un uomo o una donna, sebbene a dire il vero un crimine violento indicasse quasi sempre un colpevole di sesso maschile. E lei era incline a propendere per un uomo, semplicemente perchГ© le statistiche dicevano quello.

Ma la scena del crimine non le stava fornendo nessun altro indizio.

Zoe distolse lo sguardo dal secchio e tornò dallo sceriffo, lasciando che Flynn facesse le proprie osservazioni. “Siete riusciti a trovare qualche prova fisica?” domandò.

“A parte il cadavere?” Lo sceriffo Petrovski le rivolse uno sguardo ironico. “No. Nessuna impronta, niente di niente. Sembra che l’assassino abbia ripulito tutta la scena. O forse indossava dei guanti. Difficile a dirsi, dato che sono stati usati attrezzi per le pulizie. Niente fibre, né capelli; non siamo riusciti a raccogliere nulla. Qui dentro era tutto pulito.”

“Questo è un bel problema.” sospirò Zoe. Era sempre meglio quando c’erano prove concrete. In quel caso avrebbero potuto semplicemente trovare la persona giusta, prenderne le impronte, chiudere il caso e tornarsene a casa in tempo per la cena. Ma sarebbe stato comunque impossibile: l’ora di cena era passata già da un pezzo.

“Beh,” disse Flynn, rimettendosi in piedi dalla posizione accovacciata che gli aveva permesso di esaminare più da vicino il secchio. “Credo che la faccenda sia piuttosto chiara.”

“Ah sì?” disse Zoe; il suo tono era ironico.

Flynn si pulì le mani, dirigendosi verso la porta per unirsi a loro. “È un pazzoide qualsiasi in cerca di opportunità per commettere un crimine. Deve aver avuto accesso al planetario in qualche modo, e questo ci aiuterà a restringere le ricerche. Ma è chiaro che sta cercando donne in posti isolati, in modo da mettere le mani su di loro senza essere scoperto né interrotto. Come nel caso della vittima ritrovata vicino al fiume. Chissà, forse anche lui è un escursionista, o magari si tratta di uno del posto che conosce bene la zona. Nessuno era lì per fermarlo, gli è scattato qualcosa e ha deciso di ucciderla.”

“Molto interessante,” disse Zoe, sempre ironicamente. Non credeva a una singola parola. L’incisione di un simbolo sulla carne era un gesto deliberato: indicava un ragionamento, se non una vera e propria premeditazione. Non era soltanto un pazzo qualsiasi: c’era uno scopo, un messaggio, in questi omicidi.

Zoe aveva già visto casi del genere prima d’ora. Come aveva detto Maitland, era il motivo per il quale era stata scelta per questo caso.

“Vorrei vedere i cadaveri,” continuò. “Soprattutto i simboli che vi sono stati incisi sopra. Credo ci sia qualcosa che valga la pena approfondire.”

Percepì Flynn irrigidirsi dietro di lei, con le linee della sua schiena e delle sue spalle che diventavano più dritte. Non aveva gradito la sua decisione. Non era comunque un problema: non le interessava risultare simpatica al suo partner, ma soltanto catturare un assassino.

“Ora?” domandò lo sceriffo Petrovski, con un accenno di delusione nella sua voce.

Zoe annuì. “Sarebbe meglio di sì.”

Non aveva alcuna intenzione di attendere: non quando c’era un assassino in giro, forse in procinto di colpire di nuovo.




CAPITOLO SETTE


L’ufficio del medico legale non era mai l’edificio più accogliente in cui entrare quando si andava in cerca della giustizia, ma in questa fredda sera di novembre era ancora peggio. Zoe rabbrividì leggermente e si strinse un po’ di più nella sua giacca con il logo dell’FBI. Domani, dopo aver avuto il tempo di disfare il suo trolley, avrebbe indossato un cappotto più pesante.

I due corpi erano distesi su altrettante lastre di metallo nel bel mezzo della stanza, accanto a una terza lastra che perГІ era libera. Era un forte promemoria della posta in gioco e del fatto che quei due cadaveri potevano facilmente diventare tre se non si fossero sbrigati a trovare il colpevole.

Zoe ignorò il suono della voce di Flynn che parlava al medico legale, un piccolo uomo asiatico con una testa semicalva. Non si aspettava che potesse dirle niente che i numeri non le avessero già detto; aveva visto gli esami tossicologici, le analisi e altri risultati relativi al primo cadavere e sapeva che erano puliti. Sarebbe stato lo stesso per il secondo. Nel referto medico non c’erano tracce che puntassero verso il loro assassino; niente, a parte il suo biglietto da visita.

Zoe si avvicinò al primo corpo e sollevò il lenzuolo che lo copriva, esaminando il simbolo inciso nella carne. Si sporse per guardare meglio, vedendo tutto: la lunghezza di sette centimetri e sessanta della linea retta superiore, dalla quale scendevano linee di sei centimetri e trentacinque e di sei centimetri e novantanove. Erano entrambe dritte, sebbene non fossero né perpendicolari alla linea superiore né parallele tra loro. C’era una leggera deviazione nell’angolo tra di esse, che era più vicino a cento gradi che a novanta. Forse si trattava del lavoro di una mano approssimativa, incapace di incidere le linee con precisione.

Zoe si spostò verso il secondo cadavere, quello dell’astronoma. Il simbolo era il medesimo. Lasciò che i numeri le dicessero tutto: un tetto di sette centimetri e sessantadue, due gambe che scendevano a un angolo di cento gradi in direzioni opposte, rispettivamente di sei centimetri e trentacinque e sette centimetri e sessantadue.

Era la stessa mano. Riuscì a capire senza problemi la direzione del taglio, la forza applicata per crearlo, persino il tipo di attrezzo utilizzato. Combaciava tutto. Entrambi i segni erano stati fatti dalla stessa mano. Non si trattava di una coincidenza, né di un’imitazione e neanche di una sorta di perversa venerazione. Gli omicidi erano stati commessi dallo stesso uomo; un uomo che stava cercando di lasciare un segno… letteralmente.

Zoe raddrizzò la schiena, sentendola lamentarsi per l’orario e per la lunghezza della sua giornata. Dopo le ultime, orribili settimane, aveva bisogno di riposo. Ma poteva aspettare. Il caso era di gran lunga più importante.

“Queste incisioni sono state fatte dalla stessa mano,” disse, accorgendosi del fatto che Flynn e il medico legale avevano smesso di parlare. “Ciò significa che possiamo escludere un gruppo di assassini o un qualche genere di setta. Il marchio potrebbe comunque avere un significato rituale per l’assassino, ma è la stessa persona a inciderlo.”

Flynn fece spallucce. “Ha senso, ma ancora non ci lascia molto su cui lavorare, soprattutto se il colpevole sta usando questo simbolo per depistarci.”

Zoe scosse la testa. “Non credo. Questo è un atto volontario. L’assassino è guidato da una sorta di principio: può non essere logico per noi, ma lo è per lui. Credo che stia marchiando i corpi con il simbolo del pi greco.”

Se Zoe si fosse aspettata degli applausi dopo la sua dichiarazione, non avrebbe potuto restare più delusa dalla reazione del suo partner. “Pi greco?” sbuffò Flynn. “È un po’ azzardato, non ti sembra?”

Zoe lo guardò sbalordita. Non si aspettava che fosse così in disaccordo con lei, soprattutto non davanti a un altro professionista. “Una linea dritta in cima dalla quale partono due gambe parallele? A me sembra un pi greco.”

Flynn si chinò sul corpo più vicino, scuotendo la testa davanti all’incisione. “Mah, potrebbe trattarsi di un pi greco. Ma potrebbe essere qualsiasi cosa. Voglio dire, guarda quanto sono sbrigativi e irregolari i tagli. Gli angoli potrebbero anche non essere intenzionali.”

La bocca di Zoe si contrasse per l’irritazione. Chi credeva di essere questo pivello? Evitò con tutte le sue forze di guardare il medico legale, perché sapeva che la rabbia che ardeva nei suoi occhi l’avrebbe tradita. Non era mai stata brava a nasconderla. “Cos’altro potrebbe significare?” scattò.

Flynn indicò il simbolo, tracciandovi sopra linee invisibili con le dita. “Potrebbe essere una serie di iniziali. Due “Ts” maiuscole, una accanto all’altra. Forse il nome dell’assassino; una vera e propria firma. O il nome di qualcos’altro. O l’abbreviativo legale di un querelante: magari si tratta di qualcuno che non è soddisfatto dal sistema giudiziario e vuole metterlo bene in chiaro.”

Zoe sentì vacillare la sua determinazione. In fondo non sarebbe stata la prima volta che vedeva un collegamento con la matematica soltanto perché desiderava che ci fosse. Aveva già interpretato le cose in modo errato in passato. Aveva sprecato tempo e risorse preziose, e di conseguenza c’erano stati altri omicidi, altre morti, prima di prendere la strada giusta e catturare il vero colpevole.

Ma era sempre stata vicina alla verità. Il suo istinto funzionava bene, e lei lo sapeva. Questo pivello stava forse cercando di dirle che fosse in errore? Quale esperienza sul campo aveva per esprimere quel giudizio? Zoe strinse le mani a pugno, sentendo le unghie affondare nei palmi, per sfogarsi un po’ ed evitare di urlargli contro.

“Io vedo un pi greco,” insistette. “Ho già lavorato a casi del genere. Casi in cui le persone erano ossessionate da certi numeri e concetti. Ho contribuito a catturare l’assassino della proporzione aurea.”

“Non significa che gli assassini siano tutti uguali,” affermò Flynn. “Inoltre, a cosa ci porta? Anche se questo fosse un pi greco, che razza di indizio sarebbe? Non ci dice affatto dove guardare.”

“Potrebbe aiutarci a restringere la lista dei sospettati,” disse Zoe. Sapeva che su questo aveva ragione, ma non aveva alcuna intenzione di dargliela vinta. Tutt’altro. Avrebbe sostenuto la sua tesi per tutto il tempo necessario, o almeno fino a quando lui non avesse ricordato chi fosse l’agente al comando del caso. Chi credeva di essere, cercando di smontare il suo ragionamento in questo modo?

“Non possiamo semplicemente saltare a conclusioni,” disse Flynn, piuttosto esasperato. Stava gesticolando, facendo ampi movimenti seguiti attentamente dagli occhi di Zoe, che ne calcolò velocità, angolo e schema. “Ascolta, il pi greco può essere utilizzato per rappresentare determinati tensori di stress nella dinamica dei fluidi. Quindi cosa dovremmo fare? Limitarci a interrogare soltanto i fisici?”




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